LA CESTA DEI PARENTI

Lì, dietro Piazza Mercantile c’è uno studio fotografico, che si tramanda di generazione in generazione.
Ora lo gestiscono dei ragazzi, esperti in tecniche digitali. Ogni tanto, fino ad un paio di anni fa, ci si poteva imbattere nel nonno, Nicola, fotografo d’altri tempi, nato e cresciuto forse neanche con la pellicola, ma direttamente con i dagherrotipi.

Incontrarlo, quando veniva in studio, era bellissimo: ogni giorno raccontava qualcosa di quando era giovane.
Ogni tanto ci facevamo raccontare di quando aveva fatto il fotografo di guerra, delle avventure in Africa, e qualche volta di quando si trovò a fotografare  l’affondamento della flotta americana proprio nel porto di Bari, la Pearl Harbor nostrana, che per poco non moriva anche lui nell’incendio, mentre di morti ne aveva visti tanti, tantissimi altri.
E lì, da sorridente, diventava cupo, e rimaneva zitto tutto il pomeriggio.

Quindi ci facevamo raccontare le storie della cesta.

Lui vendeva di tutto ai turisti, oltre a far loro le istantanee e le Polaroid. Aveva un enorme espositore con le foto della Bari che non c’era più: il corso Vittorio Emanuele con i bar fin sulla strada, con una o due macchine che oggi neanche quando lo chiudono al traffico, sullo sfondo il Margherita ancora in costruzione (oddio, come oggi che è in perenne restauro, oppure è stato costruito in restauro), Piazza Risorgimento viva come non mai, il Petruzzelli com’era allora, la piazza della Stazione negli anni ‘50.
Corso Cavour con i cavi del filobus sospesi e intrecciati come ragnatele.

E aveva anche una cesta piena di foto.

Foto di persone, uomini, donne, bambini.

Tutte rigorosamente bianconero, dei ritratti dai primi del ‘900 agli anni ‘50: forse dagli archivi del padre, o rinvenuti chissà dove.

Ogni ritratto che trovava veniva recuperato e messo in quella cesta.

Lui ci raccontava per filo e per segno le storie di ogni persona in ogni foto.

Le chiamava per nome, oppure per professione. “Il professore” oppure “Michele” oppure “l’Avvocato Piscopo” o “il nipote del Conte”.

Ogni foto una storia, ogni foto un mondo.

“Il Professor Amato era quello che aveva la figlia che era scappata col cuoco della nave americana, e non era più tornata se non dopo 15 anni, portandogli una vagonata di nipoti, che lo salutarono in dialetto barese con la pronuncia americana. Per lui fu uno shock talmente forte che mancò due settimane dal suo liceo. Il lunedì successivo interruppe l’ora di matematica citando Seneca a memoria”.

Oppure… “Questo era Peppino il pescatore, detto ‘u gnore non perché fosse di origini africane, o fosse particolarmente abbronzato, come spesso capita dalle nostre parti, ma perché, nonostante fosse perennemente a contatto con l’acqua, la considerava solo per pescarci i pesci ma mai per lavarsi. Non si sapeva come resistesse la moglie, visto che non usciva mai. Magari era morta da dieci anni, ma lui non ci avrebbe fatto caso, tanto che già prima parlava poco. E poi agli odori lui c’era abituato”.

Ma la storia più bella è quella del padre adottivo.

Un giovane sulla trentina arrivò da lui con una foto praticamente dissolta. Di quelle antiche, stampate sul cartoncino. Con intorno due righe ormai indecifrabili e una firma.
Credo si leggesse “A Maria, con immenso amore, Stefano”.

La foto era finita per errore nell’acqua, e c’era rimasta una notte intera. Ormai era lui che raccontava la foto, che l’immagine e la cornice s’erano appoltigliati.

Peccato.

Cominciò a rovistare tristissimo nelle foto della scatola.

Nicola gli chiese “Giovanotto, posso aiutarti?”

– “Naturalmente: cerco qualcuno che mi assomigli. Ho questa foto di mio padre, l’unica che m’è rimasta”ma credo non resista più, visto che mi si sta dissolvendo in mano.”

Allora Nicola trovò subito una foto, che assomigliava al lui e al padre.

Dietro la foto, nessun segno, nessun messaggio.

Allora Nicola chiese al giovanotto: “Voi come vi chiamate?”

– “Andrea” rispose.

E cominciò a scavare nel passato, e a raccontare.

– E vostro padre?

– Onofrio.

“Questo allora sarà Onofrio, d’ora in avanti. Abbiatene cura.”

Il giovane andò via, con gli occhi lucidi.

E tutto finì lì.

Per parecchio tempo, ogni tanto vendeva una foto, a qualcuno di cui notava l’amore a prima vista, come se avesse visto la madre, o il padre, o i nonni.

La vendeva per poco.

Perché stavano già pagando con i singhiozzi, e Nicola era gentile e non ha mai sfruttato la sofferenza altrui.

Buon viaggio, Signori.

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